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Street Clerks, Com’è andata la rivoluzione? | Valerio Fanciano a Blogo: “Crescendo e sperimentando, abbiamo capito cosa ci fa stare bene”

Street Clerks, “Com’è andata la rivoluzione?” è il nuovo album. Ecco l’intervista a Valerio su Blogo.it

pubblicato 23 Maggio 2018 aggiornato 27 Agosto 2020 21:29

Com’è andata la rivoluzione?” è il titolo del nuovo album degli Street Clerks, uscito l’11 maggio 2018 e anticipato dal singolo “Rivolù“. Il video della canzone è Ispirato a HeyJude dei Beatles, un tributo alle band che ha rivoluzionato il concetto di pop, unendolo all’arte e rimanendo un punto di riferimento nel rock/pop nei decenni a venire.

Nel 2013 partecipano come concorrenti alla settima stagione di XFactor Italia (in diretta su SkyUno) nella categoria dei gruppi vocali, capitanata da SimonaVentura. Attualmente il gruppo fiorentino è da 5 anni Resident Band nel programma “E poi c’è Cattelan” in onda su Sky Uno.

Qui sotto la tracklist del nuovo disco.

1.Londra
2.Il miodesiderio di fuggire
3.Rivolù
4.La vitamina
5.Marlene
6.Finisce che sto bene
7.Il ritorno di Beethoven
8.Una soluzione banale
9.Before it all turns to dust
10.Hey

I membri del gruppo sono Alexander Woodbury (voce, chitarra elettrica), Valerio Fanciano (voce, chitarra acustica) Cosimo Ravenni (voce, contrabbasso) e Francesco Giommi (voce, batteria), Noi abbiamo chiacchierato con Valerio in merito al nuovo singolo, all’album, di bilanci e… cambiamenti.

Rivolù è il primo singolo, con un video ispirato ai Beatles e Hey Jude. Il brano sembra essere una sorta di bilancio, con la musica che è elemento chiave, pilastro portante per tutti voi.

E’ forse una delle prime canzoni scritte per il nuovo album. L’ho iniziata a scrivere dopo un periodo di “non scrittura”. Mi sono messo lì con la mia chitarra, ho ripensato a tutta la nostra storia, come è iniziato. E’ stato questo che più mi ha ispirato, vedere cosa eravamo diventati dopo 15 anni da quando abbiamo iniziato a suonare. Nel testo c’è anche appunto la frase “Com’è andata la rivoluzione?” che è una domanda che farei a me stesso, e a noi, a quando avevamo 14/15 anni. Ai tempi abbiamo conosciuto il rock, ne siamo stati travolti, dalla musica in generale. Era la grande possibilità di esprimerci. Sono stato quasi due anni a non uscire di casa per scrivere canzoni (ride).

E che risposta ti daresti a questa domanda. Com’è andata la rivoluzione?

Il concetto di rivoluzione è cambiato in me e noi. Prima pensavamo di dover cambiare il mondo mentre adesso, soprattutto in questo periodo, stiamo bene. Ci siamo resi conto che è diventata una rivoluzione nostra, interiore. Un cambiamento che è avvenuto crescendo. Questo è un periodo molto positivo. Penso si traduca più con il fatto che crescendo e sperimentando, facendo tante esperienze -e sbagliando anche- facendo la vita della band, abbiamo capito a cosa teniamo di più e ci fa star bene.

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Mi aggancio ancora alla rivoluzione con una domanda un po’ marzulliana. Che momento rivoluzionario nella tua vita ricordi in particolare? Un momento in cui hai pensato “Ok, le cose stanno cambiando”.

Rispondo a livello di gruppo e personale… Secondo me, ci sono state varie rivoluzioni. La prima è stata prendere una chitarra in mano, ci ha cambiato la vita. Poi un’altra è suonare e scrivere canzoni, vedere persone che si avvicinavano a noi e alla nostra musica. Un altro momento molto importante è stato in seguito. Abbiamo fondato gli Street Clerks inizialmente quasi per gioco ma poi abbiamo visto che le cose andavano bene. Abbiamo avuto anche pressione e aspettativa nel momento di decidere del nostro futuro. Sembrava stessimo davvero diventando dei musicisti con pro e contro. C’è stato un attimo, nel 2013, in cui abbiamo detto “Noi l’abbiamo capito cosa vogliamo fare, è questa la nostra strada”. Non era importante capire chi ci avrebbe seguito, se e quanto saremmo stati famosi. Avevamo piacere di fare quello nella vita. Il piacere di slegarci dall’idea di diventare qualcuno o qualcun altro… e subito dopo ci hanno chiamato per X Factor. E’ stata un’altra grande rivoluzione. Rimanere coscienti di quello che vuoi fare ti fa stare bene.

Nel singolo e nell’album si parla spesso del cambiamento. Ripensando agli anni passati, c’è una parte di te che si è modificata nel tempo e che magari, ti dispiace sia mutata, a livello caratteriale? O sei venuto a patti con il “cambiare”?

Quando ho iniziato a suonare la chitarra, a 14,15,16 anni, ero molto bravo a scrollarmi le responsabilità e questo ti dava quel senso di libertà… Mi sentivo libero al 100 per cento di sognare, non dovevo badare a me stesso. C’era una spensieratezza che non c’è più. Ma, essendo più grandi, oggi, il modo per mantenere quella spontaneità è stare vicino a quello che vogliamo fare, a realizzare il nostro sogno. Non è come prima, nemmeno al periodo dell’Università, dobbiamo porre noi più attenzione alle nostre cose. Ma le energie vanno nel nostro sogno e -anche se sono tante- quello che ci torna indietro è più che soddisfacente

Tra i brani dell’album c’è il pezzo “Finisce che sto bene”. L’hai scritto tu ed è tra i pezzi più personali del disco. Mi racconti come è nato?

E’ nato un giorno in cui stavo uscendo di casa per andare a giocare a calcetto. Il campo era a 15 minuti a piedi, ero uscito direttamente vestito per giocare. Mentre correvo mi è venuta in mente la melodia del testo e mi piaceva! (ride) Quindi ho giocato la partita cercando di ricordarmi questa melodia. Al ritorno, di corsa, mi sono iniziate a venire anche le parole del ritornello. E’ stata una delle più veloci che abbia mai scritto nella mia vita. Intorno al ritornello ho poi costruito tutta la canzone. E’ buffo perché a volte tu non fai niente ma sembra come che qualcuno ti stia dicendo qualcosa. Parla di quanto la mia ragazza mi stia facendo cambiare…

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Il gruppo è nato nel 2007, ufficialmente. Da lì sono iniziate le prime serate live nei locali. Ti ricordi ancora… la prima volta?

Certo! Il primo concerto non c’era ancora Francesco, il batterista. Nei primi due anni non c’era e veniva a sentirci suonare, era un nostro fan. Era in un locale a Firenze, ora ha chiuso, si chiamava John Martin. Credo prendessimo 50 euro a testa. Avevamo fatto 2/3 prove per mettere su tutti i pezzi rock’n roll. Era mezzo improvvisato il concerto (ride). Mi ricordo che già sentivamo che ci divertivamo parecchio. Sentivamo che nel suonare insieme c’era complicità.

Siete Resident Band di “E poi c’è Cattelan” e avete suonato e duettato con artisti italiani e internazionali. C’è un aneddoto particolare che ti viene in mente, in tutte questa collaborazioni musicali?

Il duetto che ci ha colpito di più è stato quello di De Gregori in “La leva calcistica del 68”. Lui avrebbe voluto duettare con noi e siamo impazziti. Abbiamo proposto di fare la canzone nel nostro genere e l’abbiamo fatta con le nostre voci, più Beatlesiana. Suonarla lì è stato assurdo. Siamo nati con le nostre madri che cantavamo De Gregori quindi figurati l’emozione! Ti dico una curiosità: lui ci chiama “Chierici vaganti” (ride).

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