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“The dark side of the royalties”: i Pink Floyd fanno causa alla EMI

Anche per lo storico maialino gonfiabile che svolazza leggiadro tra la folla oceanica dei concerti dei Pink Floyd, come per ogni salvadanaio del mondo, è giunto il momento di essere spaccato per vedere quanti soldini si celano al suo interno: e se, come in questo caso, si dovesse scoprire che al suo interno c’è molto

pubblicato 10 Marzo 2010 aggiornato 31 Agosto 2020 03:49

Anche per lo storico maialino gonfiabile che svolazza leggiadro tra la folla oceanica dei concerti dei Pink Floyd, come per ogni salvadanaio del mondo, è giunto il momento di essere spaccato per vedere quanti soldini si celano al suo interno: e se, come in questo caso, si dovesse scoprire che al suo interno c’è molto meno di quanto in realtà dovrebbe esserci?

Una cosa simile (anche se molto meno fantasiosa) è capitata di recente a coloro che, incaricati dai Pink Floyd di rinegoziare le royalties con la EMI, affermano che c’è un enorme disavanzo tra la cifra offerta loro dall’etichetta discografica britannica e ciò che, almeno in teoria, dovrebbe aver guadagnato in questi anni la leggendaria band inglese tra un “The Dark Side of the Moon” e un “The Wall”.

Ed è proprio l’impossibilità di capire il volume di denaro guadagnato dalla EMI attraverso le opere dei Pink Floyd, che ha portato i legali di questi ultimi a rivolgersi alla High Court britannica per stabilire una volta per tutte se l’etichetta di Londra dovrà qualcosa (e per “qualcosa” intendiamo decine di milioni di euro) alle famiglie di Richard Wright e Syd Barrett così come ai restanti membri del gruppo.

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